Meccanismo sinaptico che lega ansia e dolore cronico

 

 

GIOVANNA REZZONI & NICOLE CARDON

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 31 gennaio 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Gli psichiatri del secolo scorso hanno definito ansia il dolore della psiche, traducendo il termine angst impiegato da Freud per analogia con lo stato d’animo di chi si preoccupa durante un’attesa. La definizione segnava l’ingresso nel novero dei sintomi di ciò che si era abituati a considerare un’esperienza umana, frequentemente trasmessa e concepita nei termini in cui è stata rappresentata nei secoli dalla cultura popolare, dalla religione e dalla letteratura. Lo star male per dispiaceri, perdite, torti subiti, problemi esistenziali senza vie d’uscita che portano allo squilibrio della fisiologia dell’organismo, fino ad epoche storiche relativamente recenti, non era stato oggetto di studio scientifico e di interesse clinico. L’individuazione di un sintomo, che non è semplice reazione fisiologica, come la paura, e non è più un luogo astratto come il dolore morale, rappresenta un passo decisivo in quell’ampio processo epocale costituito dalla medicalizzazione della sofferenza psichica.

Per il dolore fisico la storia è del tutto diversa, in quanto fin dall’antichità più remota è stato oggetto di interesse medico e all’origine della medicina stessa, come testimoniano i papiri egiziani e gli scritti medici anteriori all’epoca ippocratica. La ricerca degli anni più recenti ha però individuato caratteri biologici e patologici tanto specifici da mutare la concezione classica: si pensi alla definizione corrente del dolore in termini di danno materiale a strutture macroscopiche e microscopiche dell’organismo, e alla netta separazione fra dolore acuto e dolore cronico. Così definisce il dolore l’International Association for the Study of Pain (IASP): “Una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a danno tessutale attuale o potenziale o descritta nei termini di tale danno”[1]. Di recente è stato definito un profilo patologico che distingue la sofferenza cronica dalle esperienze nocicettive acute, configurandola come una vera e propria malattia neurodegenerativa[2].

L’ansia, così bene definita in termini psicopatologici e così tanto conosciuta da essere diventata un concetto di dominio pubblico e di espressione comune, non può agevolmente essere delineata in termini neurobiologici. Se la distinzione introdotta da Freud fra paura, quale reazione ad una minaccia presente, e ansia, quale paura senza oggetto, continua ad avere utilità in semeiotica psichiatrica, non ha però un equivalente in un differente sostrato neurofunzionale. Gli studi sperimentali dell’ansia su modelli animali si identificano, pertanto, con quelli sulla paura e sullo stress nei sistemi dell’amigdala e nelle altre componenti del cervello emozionale, classicamente comprese nella definizione di “sistema limbico”.

Lo studio del dolore e quello dell’ansia sono stati due campi distinti, e fino a tempi recenti del tutto separati, della ricerca biomedica e psichiatrica. Nello studio delle basi fisiopatologiche, però, i rapporti e le interazioni sono molteplici ed evidenti, tanto da aver costituito un nuovo campo di indagine.

Come è noto, il dolore cronico può generare ansia, e l’ansia, comunque originata, accentua la percezione del dolore. Il circolo vizioso non meraviglia alla luce delle più recenti acquisizioni di fisiopatologia dello stress e del dolore, così come non meraviglia il notevole numero di studi che ha indagato, da un canto disturbi ansiosi in pazienti affetti da patologie dolorose, quali la fibromialgia, e, dall’altro, l’accentuarsi delle manifestazioni algiche in persone affette da disturbi dello spettro dell’ansia. Nonostante una grande mole di studi, peraltro in prevalenza di carattere clinico e statistico, la nostra ignoranza delle basi cellulari e molecolari di questa interazione, con rinforzo reciproco o sinergico, rimane quasi assoluta.

Kohei Koga, Giannina Descalzi, Min Zhuo e vari altri colleghi, studiando i neuroni della corteccia anteriore del giro del cingolo, una regione importante per l’elaborazione del dolore, hanno individuato un meccanismo sinaptico che potrebbe spiegare l’interazione fra i due sintomi. Il danno tessutale innesca due forme di potenziamento a lungo termine (LTP) che possono convergere mediando l’interazione fra l’attivazione dei sistemi dello stress (ansia) e della nocicezione (dolore). Lo studio merita senz’altro di essere conosciuto (Koga K., et al. Coexistence of Two Forms of LTP in ACC Provides a Synaptic Mechanism for the Interactions between Anxiety and Chronic Pain. Neuron 85 (2): 377-389, 2015).

La provenienza degli autori dello studio è la seguente: Center for Neuron and Disease, Frontier Institute of Science and Technology, Xi’an Jiaotong University, Xi’an (Cina); Department of Physiology, Faculty of Medicine, University of Toronto, Ontario (Canada); Department of Biological Sciences, College of Natural Sciences, Seoul National University, Seoul (Corea); Centre for Synaptic Plasticiry, School of Physiology and Pharmacology, University of Bristol, Bristol (Regno Unito); Solomon H. Snyder Department of Neuroscience, The Johns Hopkins University School of Medicine, Baltimore, Maryland (USA).

La relazione fra dolore e ansia è stata oggetto di numerosi studi che hanno analizzato le reazioni affettivo-emotive al dolore o la comparsa di sindromi algiche in pazienti affetti da disturbi psichiatrici. Il dolore cronico genera stress ed è stato studiato specificamente quale causa di disturbo post-traumatico da stress (PTSD, da post-traumatic stress disorder). Nelle persone affette da dolore cronico la prevalenza di disturbi d’ansia rilevata da Fishbain e colleghi è la seguente: disturbo da panico, 11%; disturbo post-traumatico da stress, 7-39%; disturbo da panico con agorafobia, 2.1%; disturbo d’ansia generalizzato, 15-20%; disturbo ossessivo-compulsivo, 1.1%; disturbo fobico 9%; fobie sociali, 11%; disturbo da adattamento con umore ansioso, 42.8%[3]. Queste percentuali di prevalenza, come rilevano lo stesso Fishbain e vari altri ricercatori, costituiscono una sottostima, perché lo studio di pazienti con sindromi ansiose che presentano dolore cronico ha fatto registrare valori di associazione impressionanti. Ad esempio, il dolore compariva nel 40-81% dei casi di attacchi di panico esaminati nei vari studi, ma l’ansia generalizzata ha rivelato un’associazione ancora più stretta. Il sintomo ansioso si associa al dolore con una frequenza superiore alla depressione, considerata in passato la condizione psicopatologica più frequentemente associata. Infatti, la maggior parte dei pazienti che soffre di dolore cronico di qualsiasi tipo è depressa, secondo quanto è da sempre evidente all’osservazione clinica e documentato in uno studio classico su grandi numeri condotto da Wells e colleghi[4]. Gli studi di associazione statistica riportano la presenza di sofferenza fisica nel 50-66.3% dei pazienti affetti da disturbo depressivo maggiore (MDD, da Major Depressive Disorder). Una questione di notevole rilievo nella ricerca sul dolore può essere così sintetizzata: è la depressione a causare dolore e a predisporre alla percezione di stimoli dolorosi o prevale il ruolo del dolore come causa di depressione? Una revisione di 83 studi basata sull’evidenza ha concluso che vi era un maggiore supporto di dati per la tesi del dolore che causa depressione, rispetto al rilievo di dolore senza danno tessutale a causa della depressione[5]. Un aspetto fisiopatologico è stato indagato di recente: l’influenza dei disturbi depressivi sulla soglia di percezione del dolore. I risultati non sono omogenei: il dolore termico è percepito di più dai depressi, che presentano anche una soglia più bassa al dolore generato dal freddo estremo, ma sopportano meglio il dolore causato da scariche elettriche. Numerose evidenze depongono per una soglia più bassa nella depressione al dolore di origine muscolare, particolarmente quello generato da meccanismi ipossici[6].

La coesistenza di ansia e dolore è stata considerata in psichiatria una condizione di risposta in gran parte fisiologica, perché la repressione dell’ansia o la sua insufficienza come “canale entropico” di energia psichica emozionale, sarebbe all’origine di manifestazioni psicopatologiche quali somatizzazioni e conversioni. Nella pratica medica si incontrano in tutto il mondo pazienti che, per fare fronte a sintomi dolorosi, si sottopongono a numerosi e frequenti interventi chirurgici (sindrome di Briquet).

Il rapporto a circolo vizioso fra ansia e dolore cronico è un’esperienza clinica frequente e costituisce uno specifico oggetto di studio e di intervento per gli psichiatri da molti decenni. Sono stati individuati nel tempo possibili basi fisiopatologiche del reciproco potenziamento nell’attivazione da parte del dolore cronico dei circuiti dello stress e nell’accresciuta sensibilità al dolore indotta dall’attività di tali circuiti, che costituisce il principale correlato degli stati ansiosi. Ma, come già ricordato, di questa interazione non si conoscono ancora le basi cellulari e molecolari, quali quelle costituite dai processi legati all’attività sinaptica.

Koga e colleghi hanno seguito alcune importanti tracce che li hanno condotti a focalizzare l’attenzione sull’attività delle sinapsi della corteccia della parte anteriore del giro del cingolo (ACC, da anterior cingulate cortex): l’ansia di lunga durata generata da dolore cronico dipende dalla plasticità presinaptica; il potenziamento a lungo termine (LTP) presinaptico nei neuroni della ACC contribuisce alla genesi dell’ansia.

I ricercatori hanno caratterizzato due forme di LTP nella regione ACC:

1) una forma di LTP presinaptico che richiede recettori per il glutammato di tipo kainato[7];

2) una forma di LTP post-sinaptico che richiede recettori NMDA (N-metil-D-aspartato).

La sperimentazione ha ulteriormente definito le caratteristiche di questa forma di memoria cellulare implicata nella genesi dello stato ansioso in corso di attivazione da dolore cronico, in particolare per ciò che concerne LTP presinaptico, che implica l’intervento dell’adenilil-ciclasi e della proteinchinasi A. È risultato evidente che l’adenilil-ciclasi stimolata dal calcio, sub-tipo 1 (AC1), è critica per l’LTP presinaptico, il quale è espresso mediante un meccanismo che impiega i canali HCN attivati dall’iperpolarizzazione e regolati dai nucleotidi ciclici.

Un dato di notevole interesse è che entrambi, ansia e dolore cronico, determinano l’occlusione selettiva dell’LTP presinaptico.

I ricercatori hanno effettuato esperimenti di verifica del ruolo ipotizzato per le strutture molecolari citate. Mediante microiniezioni in vivo nella ACC di ZD7288, un bloccante dei canali HCN, hanno ottenuto effetti sia analgesici che ansiolitici.

Il complesso dei dati emersi da questo studio, per il cui dettaglio si rinvia alla lettura integrale del testo dell’articolo originale, fornisce le prove di un meccanismo mediante il quale due forme di LTP nella corteccia anteriore della circonvoluzione del cingolo convergono, verosimilmente mediando l’interazione fra processi dell’ansia e meccanismi alla base del dolore cronico.

 

Le autrici della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la collaborazione e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Giovanna Rezzoni & Nicole Cardon

BM&L-31 gennaio 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] La definizione è stata introdotta dalla IASP nel 1979, ma il fondamento cellulare e molecolare della sua concezione ha trovato supporto e conferma nella ricerca dei decenni successivi.

[2] Si veda nella sezione “IN CORSO”: G. Perrella, Dolore cronico e danno neurodegenerativo. BM&L-Italia, Firenze 2010. Dalla p. 2 di questo saggio è tratta anche la definizione di dolore della IASP.

[3] Fishbain David A., Psychiatric Pain-Associated Co-morbidities, p. 274, in Wall & Melzack’s Textbook of Pain, Elsevier Saunders, Philadelphia 2013.

[4] Adams & Victor’s Principles of Neurology (Ropper Samuels, Klein, eds), 10th edition, p. 143, McGraw-Hill, 2014.

[5] Fishbain David A., op. cit., p. 273.

[6] Fishbain David A., op. cit., ibidem. Il rilevo trova riscontro nell’osservazione clinica di crampi muscolari frequenti e dolorosi nei pazienti depressi.

[7] Questi recettori prendono il nome dall’acido kainico o kainato (C10H15NO4 2-carbossi-3-carbossimetil-4-isopropenil-pirrolidina, in sigla: KA) che ne è un potente agonista. Le tre classi di recettori ionotropici del glutammato prendono il nome dall’agonista principale: NMDA, AMPA e KA.